I Celti (chiamati Galli dai Romani e Galati dai Greci in età ellenistica) occupavano ampie zone dell’Europa centrale e occidentale dalle quali si spinsero verso sud, penetrando nella penisola italiana e in quella balcanica, e giungendo fino in Asia Minore. La loro espansione verso sud portò a numerosi scontri con le popolazioni locali, con esiti a volte incerti.
Grande clamore suscitò nel III secolo l’invasione celtica della Grecia, che nel 279 a.C. arrivò a minacciare da vicino il più famoso santuario ellenico, quello di Delfi. Vero o solo presunto, l’attacco celtico al santuario divenne significativo, e fu più volte raffigurato come provano alcune urne etrusche prodotte a Chiusi, Volterra e Perugia. Per gli Etruschi la minaccia dei Galli era un pericolo reale: quindi le scene di battaglia tra Greci e Galati o di saccheggio dei santuari ellenici, che troviamo sovente riprodotte sulle urne, costituivano temi iconografici particolarmente adatti a esprimere lo stato di profonda inquietudine del popolo etrusco.
Le vittorie sui Celti invece furono spesso celebrate con monumenti commemorativi, come quello eretto da Attalo I (241-197 a.C.), re di Pergamo, dopo la battaglia presso le sorgenti del fiume Caico. Il sovrano di Pergamo, infatti, fece innalzare nel santuario di Atena Nikephoros, una base circolare che sosteneva un gruppo di bronzo rappresentante i Galati sconfitti. Con le vittorie sui Celti Attalo I legittimò la propria regalità e assunse il titolo onorifico di “Sotèr”, ossia Salvatore di tutta la Grecia dai barbari invasori.
Due copie in marmo asiatico di due figure che componevano il primo donario sono oggi riconosciute nei cosiddetti “Galli Ludovisi” (il “Galata suicida” esposto a Palazzo Altemps e il “Galata morente” oggi ai Musei Capitolini). Queste sculture furono rinvenute nel Seicento a Roma, sul colle Quirinale, durante i lavori per la sistemazione di Villa Ludovisi. L’area del loro ritrovamento era occupata in antico dagli Horti Sallustiani, che erano appartenuti a Cesare prima di essere acquistati dallo storico Sallustio. Il gruppo del Galata suicida rappresenta un guerriero nudo che, dopo aver ucciso una donna probabilmente sua moglie, si pianta nel petto la spada volgendo verso l’alto lo sguardo, con un‘espressione che è al contempo determinata e fiera. Il Galata morente raffigura un barbaro, forse un suonatore di corno, accasciato a terra e ormai prossimo alla morte.
Secondo uno studio condotto da Filippo Coarelli queste due statue, come già ricordato, insieme ad una terza, riferibile ad una donna morta e accarezzata da un bambino, costituivano il gruppo bronzeo posto sulla base circolare innalzata da Attalo I a Pergamo. Il gruppo originale, attribuito al celebre Epigonos, non voleva esprimere tanto un sentimento di compassione o di pietà per i vinti, quanto piuttosto esaltare la fierezza e il coraggio che li portava a preferire la morte o il suicidio alla prigionia, conseguenza inevitabile della sconfitta. L’esaltazione dei vinti, caratteristica principale dell’etica classica, è qui riproposta in forme monumentali per celebrare la gloria del dinasta di Pergamo.
I Galli Ludovisi sono ovviamente copie, forse eseguite in Asia, degli originali pergameni di età ellenistica va quindi ricordato, insieme al significato originario del gruppo, anche quello assunto dalla sua sistemazione negli Horti Sallustiani. La copia in marmo del donario di Attalo I fu verosimilmente commissionata da Cesare per essere esposta nei giardini della sua villa, e ricordare, seppur in modo indiretto e privato, la propria vittoria sui Galli.