L’originale del gruppo statuario di Atena e Marsia doveva fare mostra di tutto il suo splendore bronzeo nell’acropoli dell’Atene classica. Siamo fra il 460 e il 430 a.C., momento nel quale la scultura greca sta compiendo il decisivo passaggio dallo stile severo allo stile classico, conquistando cosi la capacità di rappresentare la forma naturalistica.
Le novità introdotte ora da personaggi come Mirone, Policleto e Fidia, erano state per la verità già annunciate in un momento appena precedente. Si pensi ai bronzi di Riace, pescati dal mare nel 1972, nei quali l’impostazione è frontale, ma il capo è rivolto a destra, e dove il movimento del piede (nel bronzo B) premette una posizione del corpo che poi sarà sviluppata da Policleto, oppure ancora a un’altra importantissima opera riemersa dai fondali nel 1926, il Cronide di Capo Artemisio, dove assistiamo all’apertura delle braccia tese nel gesto del lancio del fulmine, ma dove l’impostazione è ancora prestata a una visione frontale.
In questo periodo si colloca la figura di Mirone, un innovatore geniale che ebbe la capacità di riprodurre il movimento nella staticità della scultura, senza dubbio il più importante scultore dell’età severa; egli nacque intorno al 500 a.C. in Beozia e morì circa nel 440 a.C. ad Atene.
Osservando il gruppo, una copia romana esposta ai Musei Vaticani, si nota come il sileno Marsia è incerto se compiere l’atto di arretrare di fronte alla dea Atena oppure avanzare per raccogliere il flauto a terra. Il suo atteggiamento esitante è quello di un essere ferino che non ha la luce della ragione. Atena è schiva, quasi volesse allontanarsi da quell’essere immondo, ma anche dal flauto stesso che aveva poco prima inventato e poi gettato via poiché nel suonarlo le sue guance da ragazza erano divenute informi. Oggetto dunque meraviglioso per il sileno Marsia.
L’aspetto forse più significativo è il volto della Dea (non presente in questa copia), che ha oramai abbandonato la sua connotazione guerriera per presentarsi come una ragazza assorta nell’intimità del suo mondo interiore. Di fronte a lei è contrapposta la tensione incontrollabile e la forza di Marsia. Una dinamicità dunque che non è solo fisica.
L’opera più conosciuta di Mirone è però il discobolo, di cui presentiamo una copia. L’atleta è in questo caso colto nel momento in cui sta per lanciare il disco, la tensione dello sforzo svela la natura dell’anima dell’atleta, l’impegno necessario alla vittoria, valore comune in cui a solo pochi anni dalle guerre contro la Persia si riconoscevano le aristocrazie dell’epoca.