Un’iscrizione che già da sola varrebbe tutto il lavoro condotto dal 2009 ad oggi. Negli ultimi mesi gli scavi dell’antica Aquinum, ricompresi all’interno del territorio comunale dell’odierna Castrocielo, hanno restituito tesori che l’hanno resa di fatto il sito archeologico più importante dell’area compresa tra Roma e Napoli. In occasione dell’Open Day autunnale (30 settembre – 2 ottobre) i visitatori del sito hanno potuto ammirare i resti di mosaici in bianco e nero (dal III sec. a.C. sempre più diffusi nell’edilizia pubblica di municipi e colonie romane) posti a pavimentazione di un esteso edificio termale che proprio ad Aquino, più che altrove, non poteva mancare, essendo il toponimo stesso spia di una speciale vicinanza di quei luoghi all’acqua – e le acque, oltre che del fiume Melfa citato dallo storico Strabone, erano anche quelle dei tre antichi laghi, poi prosciugati, che, ai piedi del monte Cairo, lambivano la città.

Tra le testimonianze pavimentali spicca per importanza storica l’enorme epigrafe onoraria (lunga oltre 9 metri, disposta su due linee) intitolata al duoviro Marcus Veccius, soprintendente ai lavori di costruzione delle terme di cui – si apprende dall’iscrizione – fu anche il finanziatore:

M VECCIVS M F IIVIR QVINQ ITER BALNEVM VIRILE ET MVLIEBR CRYPTAM PALAEST ORNAMENTA DE SUA PECVNIA FACIVNDA CVRAVIT

MARCO VECCIO, FIGLIO DI MARCO, DUUMVIRO QUINQUENNALE PER LA SECONDA VOLTA, LE TERME MASCHILI E FEMMINILI, LA CRIPTA, LA PALESTRA E LE DECORAZIONI FECE REALIZZARE A SUE SPESE

Delle vere e proprie rarità sono poi gli altri due mosaici pavimentali rinvenuti nelle terme, poco distanti dall’iscrizione: da un lato un rinoceronte, figura sicuramente inusuale per il luogo di rinvenimento, sebbene condivida la provenienza (Africa) con l’altro animale che più frequentemente si ritrova rappresentato in complessi termali, l’ippopotamo; dall’altro, nella sala delle latrine, una scena gaudente ad ambientazione nilotica, nella quale un’imbarcazione con prua zoomorfa fa da “giaciglio” all’accoppiamento tra una donna e un giovane vestito unicamente da un kantharos, indossato a mo’ di cappello. Una simbologia bacchica che costituisce una sorta di corrispettivo visivo del famoso epitaffio: “Balnea vina Venus corrumpunt corpora nostra, sed vitam faciunt” (“i bagni, il vino e il sesso corrompono i nostri corpi, ma fanno bella la vita”). Sono inoltre ben visibili, in corrispondenza delle vasche, tracce di combustione prolungata, che insieme alle pilae e ai tubuli segnalano l’area dell’ipocausto.

A questa città di pianura evidentemente non bastarono l’imponente cinta muraria e il profondo fossato (largo circa 20 metri) realizzati sui lati nord, ovest e sud (mentre il lato orientale era difeso naturalmente dai laghi di cui si è detto sopra) per scampare alle devastazioni – e alle spoliazioni – perpetrate dai longobardi sul finire del VI sec. A seguito di quegli eventi la città venne poi ricostruita sulla riva opposta dei laghi, verso oriente, costituendo così il nucleo originario dell’odierna Aquino.

Appare però evidente che uno spopolamento completo dell’antica Aquinum non vi fu mai, soprattutto se si considerano le sepolture posteriori, di epoca tarda, rinvenute a ridosso degli spazi termali, nonché gli scarti di macellazione e le tracce di cereali che hanno confermato l’esistenza in loco di insediamenti di epoca bassomedievale.

L’equipe guidata dal professor Giuseppe Ceraudo dell’università del Salento ha concluso da poco la sua ottava campagna di scavo. Oltre agli importanti risultati raggiunti di recente, ha mappato in questi anni quelle che, si spera, saranno le prossime strutture a venire alla luce.

L’area finora scavata è infatti solo una piccola parte dell’antica colonia romana di Aquinum, che nei tempi più floridi arrivò ad abbracciare i territori attuali non solo di Aquino, ma anche di Roccasecca, Colle San Magno, Castrocielo, Piedimonte San Germano, Villa Santa Lucia, Pontecorvo e parte di Esperia.

Che dire, a questo punto non ci resta che aspettare.

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