LA TOMBA DEGLI AUGURI. Tarquinia è unica al mondo. La necropoli di Monterozzi è un richiamo fortissimo per qualsiasi persona desideri vedere da vicino la pittura arcaica antica, ma è soprattutto un luogo che per una fortuna tutta Italiana conserviamo solo noi al mondo, non esiste niente di paragonabile altrove e gli stranieri lo sanno. Al di la dell’Adriatico in Grecia è tutto andato perso, in Egitto la pittura c’è ed è anche più antica, ma tutta un’altra cosa, la pittura Egizia appartiene a un mondo che è distante dal nostro, mentre Tarquinia è un racconto diretto e illustrato sulle radici più profonde dell’Occidente.
Oggi vedremo la Tomba degli Auguri, una delle più indicative della sua fase cronologica, cioè gli ultimi decenni del VI secolo (520 c.a.). Ai lati di una porta due personaggi maschili compiono un gesto alquanto strano che ha portato nell’ottocento a scambiare queste figure per sacerdoti, più precisamente per Auguri. Chi sono gli Auguri? Sono sacerdoti che interpretavano la volontà degli Dei, osservando il volo degli uccelli. Gli uccelli sono rappresentati nella tomba e l’augure sembra alzare la mano nel gesto rituale, ma in realtà l’interpretazione che ha poi imposto il nome alla tomba è sbagliata. Quel gesto delle mani a noi c’è molto più famigliare di quanto pensiamo, è il gesto semplice del saluto espresso qui in una situazione cerimoniale. Il palmo in avanti serve come di consueto a salutare qualcuno, qualcuno che qui se ne va per sempre. L’altra mano posata sulla testa è invece la rappresentazione del dolore, una mano sulla testa è ancora oggi un gesto significativo.
Naturalmente noi siamo al di fuori del luogo che rappresenta l’aldilà. Lo capiamo perché vediamo una porta dipinta, la dentro figurativamente c’è la tomba. Tutti i giochi e tutte le cerimonie avvengono quindi fuori, è il defunto che attraversa quella porta. Per la mentalità etrusca la porta ha una funzione veramente strategica, è l’anticamera di un mondo altro. Nella tomba l’anima si distacca dal corpo e poi percorre il tratto di cammino buio e pericoloso che la conduce nella dimensione finale dell’esistenza. Non avrà un tragitto facile, anzi il suo percorso sarà travagliato da mostri e da ombre orribili, però le immagini fatte dipingere dai parenti probabilmente a lui daranno conforto. È in questo modo che noi moderni dobbiamo giudicare le pitture. I manuali di storia dell’arte abbondano giustamente di spiegazioni, ma quelle immagini, quel repertorio figurativo, avevano una funzione totalizzante e intuibile solo cercando di avvicinarsi al loro significato simbolico. Ribadiamolo ancora, dipingere la tomba era una cosa sacra, il defunto traeva la forza da quelle immagini. Le pitture che noi oggi osservano alla luce di una lampada, gli antichi durante la fase cerimoniale le osservavano alla luce guizzante delle fiaccole, questa luce contribuiva ancora di più a creare un’atmosfera magica e sacra.
Continuiamo a descrivere la tomba. Sulla parete destra, quella che si è conservata in modo migliore (ma non visibile in foto), ci sono due lottatori che si affrontano, c’è il giudice di gara all’angolo e un servetto con il cappuccio, quest’ultimo dorme, ma perché dorme se c’è il rumore dei musici e dei lottatori? Dorme perché è stanco, ha infatti il tipico abito da viaggio, forse ha annunciato un messaggio. Poi all’angolo c’è un un uomo mascherato che gioca al phersu, termine che in latino significa persona, maschera, e, infatti, la figura è mascherata. Il gioco prevedeva che un uomo con un lunghissimo guinzaglio tenesse a bada un cane, l’obiettivo era quello di riuscire ad abbatterlo con un colpo di clava. Si tratta di un gioco gladiatorio in onore del defunto, certo cruento, ma pur sempre metafora di una lotta in cui in palio c’è l’esistenza.