LA FORMA DI PIAZZA NAVONA e lo Stadio di Domiziano. La dinastia dei Flavi, composta da Vespasiano, Tito e Domiziano, regnò dal 69 al 96. Questo periodo registra da una parte l’intenzione degli imperatori di ristabilire buoni rapporti con il senato (messi a dura prova durante la precedente dittatura di Nerone), e dall’altra la tendenza ormai inevitabile della politica imperiale a procedere verso forme di governo sempre più centralizzate e autocratiche. Nel complesso quella Flavia fu una dinastia che regnò meritevolmente. L’immissione nel governo di elementi provenienti dalle varie aristocrazie municipali dell’Italia e delle provincie greche, diede un respiro internazionale a Roma. L’instaurazione delle prime scuole pubbliche del mondo romano preparò il fulgore della successiva epoca degli Antonini, in cui l’Italia fu al centro di un movimento artistico e letterario che investi tutto l’impero.
Domiziano, l’ultimo degli imperatori Flavi, aveva capito che per tenere in piedi l’impero era necessario difendere i principi su cui questo si basava, ed è per questo che in questo periodo crebbe il gusto per generi letterari tradizionali come l’epica, e furono ripresi testi come l’Eneide di Virgilio o la Metamorfosi di Ovidio. L’ideale dell’oratore e dell’uomo politico del tempo era invece espresso nelle opere di Quintiliano. Questa letteratura rispecchiava bene le esigenze degli “uomini nuovi” che Domiziano aveva messo al potere, usciti dalle guerre civili e da sempre ostili al lusso della nobiltà e del Senato romano. Per questo stesso proposito Domiziano cercò di difendere i culti tradizionali ostacolando la diffusione dei tanti culti orientali che stavano affluendo in quel periodo a Roma, come i culti di Mitra, di Cristo e di Iside. In politica estera si prodigò per l’espansione dei confini.
Nel campo urbanistico Domiziano continuò prima di tutto la costruzione di una serie infinita di edifici iniziati e non finiti dai suoi predecessori, come il Colosseo, le terme di Tito, il tempio di Vespasiano divinizzato, e ne restaurò altri, come il Teatro e il Portico di Pompeo, il teatro di Marcello, il grandioso tempio di Giove Capitolino. Riuscì persino a far mettere una sua statua equestre nel centro del Foro Romano (era un gesto di grande significato simbolico, a nessuno era mai stata permessa una cosa simile). Poi avviò la costruzione di opere nuove, come l’arco di Tito nel Foro, la Domus Flavia sul Palatino, il Foro Transitorio nell’area dei fori imperiali, un Odeon per la musica e infine uno Stadio nel Campo Marzio. Lo stadio segna ancora l’aspetto di questa parte della città riflettendosi nella forma attuale di piazza Navona, i cui edifici usano come fondamenta le gradinate della cavea teatrale. Domiziano era amante delle tradizioni ellenistiche e in questo stadio usava fare svolgere competizioni sportive alternate a quelle culturali. A quel tempo, insieme al fragore delle circa trentamila persone che lo stadio poteva ospitare, avremmo probabilmente visto spettacoli di danza, atleti correre, e poi poco dopo recitare i testi di poeti contemporanei come Marziale, Valerio Flacco, Stazio, Silo italico. Se la storiografia senatoria fu impietosa con Domiziano è per il carattere assolutistico del suo regno, per l’abbandono delle tradizioni del principato civile. Alla congiura che nel 96 uccise l’imperatore partecipò anche sua moglie Domizia, e un Senato che oramai a livello politico contava e avrebbe contato sempre di meno.