PREMESSA – Nessun generale era mai riuscito a far rispettare l’autorità di Roma su regni cosi vasti e lontani. Pompeo Magno, dopo aver guidato un esercito e vinto contro Sertorio in Spagna, aver debellato i pirati che infestavano il Mediterraneo, aver sconfitto Mitritade, spazzato via la dinastia Seleucidica in Siria, e risistemato varie provincie romane in Oriente, nel 61 a.C., si presenta a Roma, e sale sul Campidoglio per celebrare il suo terzo Trionfo. La grandezza di quell’evento, che impressionò i contemporanei, ci da l’idea di come oramai il generale assomigliasse più a un principe ellenistico, che a un personaggio del Senato Romano: segno evidente della crisi irreversibile che stava lacerando i vecchi ordinamenti repubblicani. In quelli anni a Roma la potenza di Pompeo trova espressione anche nell’edilizia urbana, ne è espressione la sua gigantesca dimora in Campo Marzio. Distante anche ideologicamente dal centro politico della città, l’abitazione di Pompeo possedeva una Curia, cioè un luogo, dove si poteva riunire il senato, dei templi, degli edifici pubblici e un gigantesco teatro, che era capace di accogliere il popolo quasi la sua scena fosse una sorta di enorme tribuna politica. Pompeo aveva ricostruito una Roma in miniatura, con le stesse identiche funzioni di quella più grande, ma l’aveva costruita dentro casa sua. Riuscirebbe difficile immaginare un programma urbanistico più ambizioso di questo, se non conoscessimo l’opera di chi lo nel 48 a.C., a Farsalo, lo sconfisse.
IL FORO DI CESARE – Il programma edilizio di Giulio Cesare fu enormemente più eversivo di quello di Pompeo. Pompeo aveva si creato luoghi di potere che sostituivano quelli precedenti, ma in fondo questi ultimi avevano continuato a funzionare lo stesso. Giulio Cesare invece, utilizza i luoghi che appartenevano alla più antica e autentica tradizione Romana, ma ne esautora le caratteristiche. In particolare Cesare crea, adiacente al vecchio Foro cittadino, un nuovo Foro con portici e Taberne, che aveva ufficialmente il compito di estendere l’antico Foro Romano, i cui spazi erano diventati insufficienti allo svolgimento di tutte le attività politiche e giudiziarie.
Le dimensioni della nuova piazza erano gigantesche, 160 m per 75 m, sintomo che oramai anche solo a considerare la scala stessa con cui si pensavano i progetti, la città repubblicana aveva ceduto oramai il passo alla città Imperiale. Da alcune lettere di Cicerone sappiamo che le spese necessarie per comprare le numerose case private che affollavano quell’area ambitissima e liberare lo spazio, ammontarono a cento milioni di sesterzi.
Architettonicamente il foro assomigliava a un quadriportico colonnato di età repubblicana, ma posteriormente su uno dei lati brevi, era addossato il Tempio di Venere. Questo tempio che era stato promesso alla Dea nel 48 a.C. prima della battaglia contro Pompeo. Era costruito su alto podio ed era dotato di colonnato su tre lati. Alla cella si accedeva con delle scalinate laterali. Era un tempio dinastico perché Venere era considerata antenata di Giulio Cesare, madre di Enea, a sua volta padre di Iulio, colui da cui derivava il nome della gens Iulia. Di fronte al tempio, e al centro della piazza sorgeva la statua equestre di Giulio Cesare, appartenuta a una statua di Alessandro Magno. L’assialità della progettazione fanno intuire facilmente l’intento propagandistico del dittatore. Cesare come un Dio, ma anche Cesare come Alessandro Magno, il cui mito nel mondo antico non era mai morto. Ormai padrone incontrastato di Roma, Cesare progetto anche la ricostruzione della vecchia Curia Sillana, il luogo di riunione del Senato, ma collegò l’edificio al suo Foro e non più al Foro Romano, in modo da affermare ancora una volta la sua visione politica. La curia venne però costruita da Augusto, solo dopo la morte di Cesare. Sappiamo inoltre che al momento dell’inaugurazione augustea, il Foro era più lungo di venti metri rispetto al progetto originale.
La conquista dei Parti, presso i quali vigeva una monarchia assoluta, e la deviazione del corso del fiume Tevere, volta all’allargamento della pianura Campo Marzio, avrebbero rappresentato la conclusione della sua opera innovatrice. Se però Cesare aspirasse a una monarchia o meno, non lo sapremmo mai. Nel 44 a.C. egli cadeva sotto i colpi di Bruto e Cassio che con quel gesto, speravano di riportare in auge l’antica Libertas Repubblicana. Il luogo scelto dagli assalitori era per ironia della sorte la curia Pompeia, dove incombeva la statua di Pompeo, il generale sconfitto.
Riferimenti bibliografici:
Guido Clemente. Guida alla storia Romana. Milano, 1977.
Filippo Coarelli. Roma. Bari, 1980.
C.Bozzoni, V.Franchetti Pardo, G. Ortolani, A. Viscogliosi. L’architettura del mondo Antico. Bari, 2010.
Piere Gros, Mario Torelli. Storia dell’urbanistica – Il mondo Romano. Bari, 2012.